Acrilico su Carta - Acrylic on Paper
35 x 50 cm
2009
Si dice che, nell’interpretare un’opera d’arte, lo spettatore abbia molta più fantasia di quella che ha avuto lo stesso artista nel realizzarla.
E’ questo il caso di “696”, oscuro ed arcano dipinto, che appare detentore di un custodito e criptico enigma da decifrare.
Nel rapportarci all’opera, con l’unico desiderio di catturarne l’anima, usufruiamo della più sfrenata creatività, per riuscire a dare una forma, un profilo, un senso, più o meno logico, ad un’immagine che ci appare piuttosto confusa, poco chiara e sicuramente complessa da definire a primo impatto.
Molteplici ed inebriate da una sorprendente capacità immaginativa, sono state le interpretazioni di chi ha osservato e tentato di leggere l’opera.
In quelle accennate pennellate, c’è chi è riuscito ad intravedere un lugubre teschio e chi ha riconosciuto il volto di un uomo agonizzante, quasi una sorta di anima dannata, pronta ad esalare l’ultimo respiro.
Non meno originali sono stati i commenti di coloro che hanno individuato, in quegli stessi tratti, un alieno seduto dinanzi al fuoco, un’isola accarezzata dal mare, un rugoso tronco d’albero, un’altezzosa ed aristocratica carrozza, piuttosto che una funivia, o una mostruosa creatura che si tuffa nel mare, lasciando tutt’intorno della schiuma, come unica traccia di sé, e c’è, perfino, chi sarebbe pronto a giurare che, in quel dipinto, non vi è che un solitario ponte, circondato da neve e giacente su di una volubile superficie lunare.
Carlo Giulio Argan, a questo punto, avrebbe detto: “senza immaginazione non c'è salvezza!”
Sagge parole le sue, ma vi sorprenderanno, ancor di più, le mie di parole, non appena vi svelerò il segreto di questo dipinto.
In realtà, Giallombardo non ha fatto altro che riportare su tela i numeri menzionati nel medesimo titolo dell’opera: 6-9-6, una sequenza numerica suggerita dalla pura casualità di un sogno fatto dalla stessa persona che gli ha commissionato il dipinto.
Era desiderio di quell’uomo il tradurre in un’opera d’arte la sua singolare visione onirica.
Ecco che, su di un grinzoso fondo nero, attraverso bianche pennellate, alquanto rapide, irregolari e volontariamente incomplete, l’artista riporta i tre numeri, che, unendosi tra di loro, divengono l’uno l’origine dell’altro.
Proprio tale fusione ha generato quell’immagine ambigua, sfuggente ed astrusa, che ha tanto ispirato la stravagante fantasia dello spettatore.
E’ questo il caso di “696”, oscuro ed arcano dipinto, che appare detentore di un custodito e criptico enigma da decifrare.
Nel rapportarci all’opera, con l’unico desiderio di catturarne l’anima, usufruiamo della più sfrenata creatività, per riuscire a dare una forma, un profilo, un senso, più o meno logico, ad un’immagine che ci appare piuttosto confusa, poco chiara e sicuramente complessa da definire a primo impatto.
Molteplici ed inebriate da una sorprendente capacità immaginativa, sono state le interpretazioni di chi ha osservato e tentato di leggere l’opera.
In quelle accennate pennellate, c’è chi è riuscito ad intravedere un lugubre teschio e chi ha riconosciuto il volto di un uomo agonizzante, quasi una sorta di anima dannata, pronta ad esalare l’ultimo respiro.
Non meno originali sono stati i commenti di coloro che hanno individuato, in quegli stessi tratti, un alieno seduto dinanzi al fuoco, un’isola accarezzata dal mare, un rugoso tronco d’albero, un’altezzosa ed aristocratica carrozza, piuttosto che una funivia, o una mostruosa creatura che si tuffa nel mare, lasciando tutt’intorno della schiuma, come unica traccia di sé, e c’è, perfino, chi sarebbe pronto a giurare che, in quel dipinto, non vi è che un solitario ponte, circondato da neve e giacente su di una volubile superficie lunare.
Carlo Giulio Argan, a questo punto, avrebbe detto: “senza immaginazione non c'è salvezza!”
Sagge parole le sue, ma vi sorprenderanno, ancor di più, le mie di parole, non appena vi svelerò il segreto di questo dipinto.
In realtà, Giallombardo non ha fatto altro che riportare su tela i numeri menzionati nel medesimo titolo dell’opera: 6-9-6, una sequenza numerica suggerita dalla pura casualità di un sogno fatto dalla stessa persona che gli ha commissionato il dipinto.
Era desiderio di quell’uomo il tradurre in un’opera d’arte la sua singolare visione onirica.
Ecco che, su di un grinzoso fondo nero, attraverso bianche pennellate, alquanto rapide, irregolari e volontariamente incomplete, l’artista riporta i tre numeri, che, unendosi tra di loro, divengono l’uno l’origine dell’altro.
Proprio tale fusione ha generato quell’immagine ambigua, sfuggente ed astrusa, che ha tanto ispirato la stravagante fantasia dello spettatore.
Prof.ssa Manuela Torre
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